domenica 17 aprile 2016

Cervello, pregiudizi e sesso

Cervello, pregiudizi e sesso


Secondo il famoso psicanalista Carl Jung, esistono immagini dette "archetipi", come l'ombra, l'anima, il vecchio saggio, il buono, il cattivo, che si sono for­mate da tempi immemorabili! Sono universali, di tutta l'umanità, ed esistono nello strato profondo del­l'inconscio collettivo.
  


A farci scegliere l'auto (e il partito) è la parte più antica del nostro cervelloIpotesi: senza il consenso dello strato più primitivo della mente quello ereditato dai rettili, non possiamo fare le nostre scelte. Il cervello razionale serve solo a giustificarle.
Che cosa induce un milanese  il cui tragitto quotidiano è un unico viale, da piazzale Loreto (dove abita) a San Babila (dove lavora), che non ha possedimenti terrieri e trascorre i week end in Liguria (tutta auto­strada), a comprare un fuoristra­da a 4 ruote motrici? «Il suo cer­vello rettile» risponde Clotaire Ra­paille, antropologo culturale ed esperto di marketing.





L'ebreo errante






E infatti per far centro con i messaggi pubblici­tari Rapaílle studia la parte più an­tica del nostro cervello, quella che si è evoluta all'epoca dei rettilila sede di odo­ri, violenza, sesso e altri istinti pri­mordiali. «Certo, la scelta dell'ac­quisto coinvolge anche la parte ra­zionale del cervello, la corteccia: numeri o prezzo sono elaborati qui, nella sede dell'intelletto, ma si limitano in genere a fornire l'a­libi al cervello rettile» spiega Ra­paille. «Anche l'amigdala, il cer­vello mediano che controlla le emozioni, dirà la sua, soprattutto sull'estetica, ma la forza dominan­te nell'acquisto, quella che vince sempre, è il cervello rettile». Il mo­dello di Rapaille ha guidato le ven­dite della FT Cruiser, la macchina della Chrysler diventata un suc­cesso commerciale. Rapaille è l'as­so nella manica delle grosse azien­de: ha ben 50 clienti fra le 100 top company elencate dalla rivista For­tune. Ma Rapaille non studia l'in­conscio di ogni singolo individuo.





Il figlio nero!






Studia l'inconscio culturale collet­tivo, che secondo lui è molto più importante di età, gruppo socioe­conomico, geografia o genere. Chi ci fa desiderare un uomo o una donna con attributi sessuali superdotati, dalle misure fuori del normale e poi convolare a giuste nozze con l’amica delle elementari? E’ sempre il cervello rettile, l’antico degli antichi! Quello che pur di avere una prole feconda, faceva desiderare ai nostri progenitori una Venere di Willewndorf, matura, grassa, seni enormi e un bacino immenso! E tale archetipo torna sempre. Dopo le maggiorate degli anni ‘50, le donne grissino degli anni ‘60 e ‘70, sono tornate le misure grosse, al punto che maschi e femmine si rivolgono al chirurgo estetico per ingrandire ora questo, ora quello.

Le guide invisibili

Secondo il famoso psicanalista Carl Jung, esistono immagini dette "archetipi", come l'ombra,l'anima, il vecchio saggio, il buono, il cattivo, che si sono for­mate da tempi immemorabili, sono universali, di tutta l'umanità, ed esistono nello strato profondo del­l'inconscio collettivo.





Il cervello rettile nella nostra mente






Ci sono però anche altri archetipi che non sono universali, ma diffusi in gruppi più ristretti: un popolo, una classe so­ciale, una generazione. Questi ar­chetipi guidano il comportamen­to inconscio di ogni suo membro: il suo modo di vedere la famiglia, l'onestà, la guerra e via elencan­do. Gli archetipi culturali Usa sono diversi da quelli francesi e ancora diversi da quelli giapponesi. Da essi discende il comportamen­to nei confronti degli immigrati e il risultato delle elezioni politiche. E sono importanti anche nelle scelte dei consumatori.

In america prevale l’igiene in Francia le carezze

A Rapaille si è rivolta per esem­pio un'azienda casearia francese che voleva esportare i suoi pro­dotti in Usa. Aveva tradotto lo spot di successo usato in Francia per trasmetterlo oltre oceano: una donna accarezza sensualmente, tocca e annusa un formaggio. Ma era stato un flop e nessuno capiva perché. Rapaille scoprì che per la cultura francese il formaggio è "vi­vo"; e infatti al mercato la donna francese prende il formaggio in mano, lo palpa e lo annusa. Negli Usa invece nessuno lo vorrebbe palpare e tanto meno annusare. Anzi, tutti quei palpamenti danno un'idea di scarsa igiene. Rapaille consigliò di enfatizzare la sicurez­za del suo incarto di plastica. La nuova campagna di spot incre­mentò le vendite del 50%.

Il rettile giuda l’archetipo

Fra gli archetipi culturali ci sono anche pregiudizi e stereotipi. An­che questi inconsci. Non solo: se­condo le ultime ricerche un adulto può avere convinzioni consce in contraddizione con quelle incon­sce. Anche chi crede di essere pri­vo di pregiudizi, facendo i test di Mahzarin Banaji, docente di psi­cologia a Yale, scopre di non esser­ne immune. «A livello inconscio siamo tutti razzisti» dice Banaji.





Gli zingari






Il ricercatore presenta ai volontari una serie di aggettivi positivi o ne­gativi, ognuno abbinato a un co­gnome tipicamente "bianco" o "nero". Per esempio "elegante ­sig. Bianchi" e "elegante - sig. Ali". Cognome e aggettivo appaiono in­sieme sullo schermo di un pc e chi fa il test deve premere un tasto che indica se l'aggettivo è "positivo" o "negativo". La maggior parte dei soggetti che partecipano all'espe­rimento (sia bianchi sia neri) ri­sponde più velocemente quando l'aggettivo positivo è abbinato al cognome "bianco" o l'aggettivo negativo a quello "nero". «La no­stra mente elabora più veloce­mente queste associazioni perché è più abituata a farle» dice Banaji. Vi ricordate? La mente inconscia elabora le informazioni in 12 millisecondi, quella razionale il doppio! Le emozioni ci mettono nei guai!

A 5 anni si subiscono gli archetipi!

Come si spiega la nascita di que­sti archetipi culturali? Per com­prendere il mondo, il cervello uma­no lo divide in categorie: persone, luoghi, cose. «Questa suddivisione è una componente importante del­l'intelligenza» dice Banaji. «Ma gli stereotipi sono l'eccesso». Gran parte di ciò che è depositato nel nostro inconscio viene dalla cultu­ra che ci circonda. Quando si infi­lano nella mente gli stereotipi?





La volpe e l'uva






«A 5 anni molti bambini hanno ste­reotipi già assimilati su chi sono i neri, chi le donne, chi gli anziani» dice Margo Monteith, docente di psicologia all'University of Ken­tucky. «A 5 anni non si è in grado di scegliere se accettare o rifiutare queste idee: manca l'esperienza per farsi un'idea personale». E co­sì il pregiudizio insegna che gli zin­gari sono ladri, le donne emotive, i carabinieri non molto intelligen­ti... «Gli stereotipi non devono es­sere veri per ottenere il loro effet­to» dice Monteith. E così l'incon­scio influenza irrazionalmente il comportamento non solo dei sin­goli, ma anche delle culture. Pensate agli Ebrei, ossessione di Hitler, e il conto torna.
Inoltre abbiamo bisogno di sen­tire di far parte di un gruppo, un villaggio, una contrada e la nostra identità è attaccata a classificazio­ni ancor più ambigue, come razza e classe sociale. Vogliamo sentirci bene grazie al gruppo cui appar­teniamo e allora denigriamo chi non ne fa parte. Tendiamo a vede­re i membri del nostro gruppo co­me individui, e quelli degli altri gruppi  come una massa indifferen­ziata. «Se pure lo stereotipo conte­nesse un po' di verità, porta co­munque a errori di valutazione: si applica a un singolo una generaliz­zazione relativa a un gruppo» dice John Bargh, docente di psicologia sociale alla New York University «ed è ingiusto: le persone vanno giudicate come individui, non co­me membri di un gruppo».

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